ERICH STEINGRAEBER (Wien) 1998
Caro Morago, (… )La grammatica e la sintassi dei tuoi quadri sono straordinariamente veneziane.
Ciò è vero soprattutto perché il colore è l'elemento essenziale della tua pittura.
Tu rallegri l'occhio con le tue tele perchè utilizzi la superficie pittorica per la diffusione della bellezza sensoriale.
Ti esprimi in veneziano, perchè sei contrario a tutte le teorie e a tutte le regole. Ti interessa unicamente una veemente sublimazione del colore e della luce da esso trasportata. La luce colorata dello spazio esterno presuppone una pratica astratta dei mezzi figurativi.
Già Robert Delaunay, il padre dell'orfismo, era consapevole di questo quando escluse tutti gli elementi descrittivi come indicazione di un "contenuto', assicurando così al colore il massimo avanzamento di grado rispetto agli altri mezzi artistici.
Da allora il colore è a disposizione come cifra pura e, nell’ osservatore, esso evoca solo "stati d'animo'.
Quadri di questo genere non lavorano più con i mezzi stilistici dell'evocazione elaborati dal cubismo sintetico, ma sono invece accessibili solamente all'osservazione meditativa, empatica.
Come un riflesso dello stato d'animo, ognuna delle tue opere si distingue dall'altra; non esistono schemi.(…)
LIONELLO PUPPI (Stuttgart) 2000
(…) La vicenda artistica di Morago, la sua stagione autentica e prodiga, affonda le proprie radici in una preistoria di iniziazione che da lontano postula l’imperterrita certezza del colore come puro, esclusivo, mezzo linguistico dell’asserimento, nell’assoluto della forma, della tensione espressiva.
Ciò comporta l’eslusione, nel processo di costruzione dell’immagine, non tanto del disegno precalcolato di griglie geometriche, quanto di qualsivoglia ricorso a supporti grafici di controllo e di argine all’effusione delle campiture cromatiche, il cui comporsi è determinato dalla dialettica qualitativa della valenza che ciascuna di esse viene ad assumere nel farsi dinamico dell’immagine che vuol fissarsi quale rappresentazione visiva, risolta e compiuta di uno stato d’animo.(…) (Stuttgart 2000)
VIRGINIA BARADEL (London) 2007
Autorevoli critici hanno, nel corso del tempo, interpretato la pittura di Morago come una versione segnatamente contemporanea del primato del colore nella storia dell’arte veneziana.
In verità la forza espressiva e l’energia cromatica che genera impetuose narrazioni astratte nelle tele del pittore veneto, affondano le radici in una pittura che suscita meraviglie attraverso i prodigi del colore: tanto il valore espressivo che quello costruttivo della pittura di Morago trovano eco in quel passato.
Tuttavia essa gode di una sorgiva indipendenza che ha a che fare con la coscienza critica che ogni autentico artista del nostro tempo sviluppa intorno al proprio lavoro.
E’ come se il fiume di colori che arriva da quella lunga e ricchissima storia, scendesse verso il presente diventando sempre più come un Maelström in cui i colori si agitano e si scontrano.
La pittura di Morago ha mantenuto l’impeto della corrente che trascina ma sembra averne sbarrato il corso trasformando l’epilogo in un nuovo inizio, in una genesi di campi di colore pulsante che riparte dagli archetipi del nero e del rosso per poi tacitarne l’urto nella misteriosa opacità del bianco.(…)
SILVIA PEGORARO (Aichi - Tokyo) 2005
(…) Questo lavoro si colloca oltre le invenzioni sperimentali dell’azione, del gesto, in una viva tensione tra materia, colore e luce : tutto qui è ombra enigmatica, vita senza confini, esaltazione e contemplazione.
L’arte di Morato trasfigura la percezione del reale grazie alla forza di un immaginario plasmato dal colore e dalla luce come valori ab-soluti, sciolti da ogni contingenza e referenzialità, ma nello stesso tempo squisitamente sensuali.
L’espressione formale si identifica con le vibrazioni calde del colore-materia, che imbeve e plasma le superfici, conferendo loro anche un senso di misteriosa sacralità. L’immaginazione non si disperde però in un vago e confuso afflato mistico, ma possiede una salda base cognitiva. Si presta a una conoscenza analogica che permette di sfuggire alla costrizione del razionalismo.
Il pensiero corre alla tradizione esoterica e neoplatonica, a Giordano Bruno, forse, soprattutto quello del De umbris idearum.
Un universo si aggiunge all’universo, una luce alla luce: la pittura è abisso, la luce vortice immobile.
La luce è il centro, ma è anche soglia, limite ultimo delle forme. (…)
CLAUDIO CERRITELLI (Milano) 2009
(…) La visione che Morago insegue è un continuo addentrarsi nella segreta genesi delle forme, dove identità e alterità del visibile sono momenti compresenti, spazi rivolti altrove, pur sempre vincolati alla scena interminabile del colore. (…) La pittura è basata sull’impatto frontale, sul sovrapporsi di piani dove si può ascoltare l’incrinarsi del colore e il rumore improvviso che infrange l’equilibrio prestabilito. Ai tonfi di materia pura rispondono gettiti di altro colore, dagli sgretolamenti della forma nascono nuovi impulsi a ripensare l’immagine come traccia di ulteriori affondamenti, dallo strusciare della materia emergono impronte su cui lo sguardo può ricostruire l’immagine perduta o far leva su una diversa fantasia. (…) L’immagine dominante raffigura l’intrigo di forme che l’artista lascia affiorare dentro di sé, il loro impatto sta nel comprimere in un solo attimo tutti gli istanti della pittura, la complessità di tutti i gesti che si sono succeduti nel tempo.
VALERIO DEHÒ (Bologna) 1999
(...) Certamente quindi Morago è pittore veneto. Questo vuol dire che la sua tradizione linguistica va ben oltre l'angusto ambito di una definizione di art autre.
E questo risulta ancora più evidente se si prendono in considerazione i suoi lavori in cui le masse di colore sembrano in costante procinto di trasmigrare lungo la superficie del quadro.
Questi spostamenti virtuali hanno origine proprio in quanto la temperatura contrastante dei colori, genera più o meno intensi squilibri.
La tensione sale o scende nei vari punti del quadro, lo sguardo si fa condurre dal ductus d'energia che esplica la doppia funzione di attirare l'attenzione e di spostarla lungo le pieghe della superficie pittorica.
Questa forza di attrazione è quasi unicamente affidata al colore che all'inizio aveva una posizione egemone sulla forma. Successivamente a metà degli anni '90 la campitura è diventata superficie, zona sempre più definita.
In pratica la superficie si è scomposta in altre superfici in costante tensione. Queste geometrie variabili sono state affidate naturalmente ad ampie zone coloristiche che si contrastano.
Ma la contrapposizione tra il rosso e il nero ha trovato l'inserimento del bianco, all'inizio come zona d'interconnessione quasi neutrale e preparatoria, poi via via è diventato il protagonista dell'opera, quasi in uno scioglimento parziale dell'emotività verso un colore di sintesi e di riflessione.
E l'albedo, secondo la teoria e la prassi alchemica, è anche il momento in cui la materia si libera del suo fardello pesante, terrestre. E' il raggiungimento di uno stato di spiritualizzazione dei valori della Terra, la libertà quintessenziale di un fine ultrasensibile raggiunto. I tre colori della preparazione si rincorrono. L'incandescenza del rosso segue alla fase della nigredo cioè al momento in cui la massa precipita nella sua ottusa essenzialità.
Il riscaldamento la vivifica e comincia a depurarla delle scorie ctonie, la verità dell'albedo viene annunciata. (...)
ANN CRIMP (Bruxelles) 2008
L’astrazione è per Morago una sorta di dichiarazione d’indipendenza con la quale il linguaggio mostra la propria capacità di segnalare un qualcosa grazie a quelle ragioni naturali che ne spiegano l’esistenza…
Il modo in cui l’artista realizza la sua grezza commistione di pennellate ed impasti lascia la pittura in una forma di compiuta apertura che la esime dal ruolo formale d’ambasciatore di vanità assolute per spingerla verso un limite dove l’immagine si compie sull’orlo di un baratro d’oscurità.
È quel limite in cui il linguaggio oscilla fra l’opzione di trasformarsi in un mostro incomprensibile e quello di illuminare di una luce nuova il mondo. In questo punto magico il linguaggio sembra non parlare più, raccolto nel mutismo di ciò che ha raggiunto la perfetta visibilità; perché l’esistenza di una parola sonora prova che le cose non ci appaiono ancora in quel modo chiaro e luminoso che non necessita di discorsi ulteriori. Il dipingere, la materiale produzione d’immagini e di luce, è la volontà di raggiungere tanto sublime silenzio: lo stato di grazia del pensiero…
ROBERT KELLER (Berlin) 2004
Il frammento caduco continua ad essere interrogato dall’angelo che si “intravede per un attimo”. Da quell’angelo la cui essenza non annuncia altro che la lontananza impossedibile dell’immagine, la melancholia per la propria dimenticanza. Non rimane che un’eco affievolita, lentissima e pura. Un’eco simile all’ultimo suono sospeso e svanente, alla perdizione dell’infinito lamento di Adrian Leverkun.
Il resto poi è solo silenzio.
MARK L. MONROE (New York) 2011
In Morago, l’opera è un colpo di sguardo, l’evento epifanico. Essa si dà in un attimo rivelatore. E’ quella zona d’ombra che non si è in grado di esperire sul momento, ma solo prima o dopo, nell’attesa o nel ricordo. L’attimo, questo “curioso qualcosa” diceva Platone, è estraneo a ogni relazione temporale, è solo passaggio dalla quiete al movimento e dal movimento alla quiete. Per il resto, appare “ridicolo, squallido il tempo/ che prima e dopo si stende” diceva Eliot. Per il resto, tutto è affidato alla dissipazione, alla dispersione senza ritorno. Ascoltiamo sempre Pound: “ quello che veramente ami rimane/ il resto è scorie”. Il resto è destinato ad infinite dimenticanze, ai temi polverosi dell’umanità, lontano dal centro e dai segreti che sono lì custoditi.